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Gestione del sistema dell’emergenza/ urgenza regionale!

INTERVENTO ANAAO ASSOMED IN OCCASIONE DELL’AUDIZIONE IN 3° COMMISSIONE DEL 15/7/2021

Ringrazio a nome del sindacato di cui faccio parte e dei lavoratori della sanità che rappresentiamo, i Componenti della commissione ed il Presidente per l’occasione offertaci da questa audizione.

Non voglio abusare però del tempo che ci è stato concesso, per cui vado subito al nocciolo della questione: siamo ormai giunti al crollo del sistema, da noi più volte temuto e annunciato. Come sindacati sono anni che rappresentiamo questi problemi a livello regionale e nazionale: pur dando atto all’attuale amministrazione di aver ripreso con noi un dialogo interrotto da troppo tempo, non possiamo non rilevare che le soluzioni adottate nella recente delibera sull’emergenza non sono ritenute da noi soddisfacenti. E non possiamo non rilevare con disappunto che nella delibera in questione non sono state accolte le proposte da noi formulate in intersindacale.

I pazienti vanno curati nei reparti, in setting assistenziali adeguati e da professionisti adeguatamente formati e preparati. Questo non lo diciamo noi che potremmo essere tacciati di avere interessi di parte, ma le Società Scientifiche e la letteratura, ed i riferimenti bibliografici sono citati in calce. Non si può continuare a tenere i pazienti in pronto soccorso (seppur in carico ad altri professionisti) per mascherare la grave carenza di personale e di posti letto, dovuta ad una politica di tagli perpetrata per anni e oggetto di un tardivo ed inutile “mea culpa” del precedente presidente.

Un nostro recente studio pubblicato on line (http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php? articolo_id=90207) evidenzia che tra il 2009 e il 2018, il numero di medici specialisti operanti nel SSN è calato di 6.225 unità. Nel 1998 i posti letto negli ospedali erano 311.000; Nel 2007, anno immediatamente a ridosso della crisi economica che ha innescato la successiva austerity, erano ridotti di circa 90.000 unità e nel 2017 erano circa 190.000. In Italia, partendo dal 5,8 per mille abitanti del 1998, siamo arrivati al 3,2 attuali contro una media europea vicina a 5. Nel 2016 il Ministero della Salute accreditava alla Toscana 2.97 posti letto per 1000 abitanti, tra le più basse in Italia. Va riconosciuto alla regione un parziale recupero di essi a partire dal 2018 ad oggi, ma ciò è ovviamente dovuto alla spinta pandemica.

La produttività aggiuntiva andrebbe poi usata (secondo peraltro le indicazioni del Governo) non per mascherare carenze di personale note da tempo, ma per recuperare le prestazioni non erogate a causa dell’emergenza COVID, e ridurre l’ulteriore allungamento delle liste d’attesa. Tale leva incentivante non deve poi impropriamente indennizzare colleghi che si troverebbero ad agire in un contesto operativo per il quale non possiedono esperienza specifica.

Il concetto di “emergenza” non dovrebbe poi riferirsi solo al pronto soccorso, ma rientrare nel concetto più ampio di continuità assistenziale, intesa come risposta del sistema ai bisogni di salute emergenti del cittadino, bisogni che possono sorgere a qualsiasi ora o giorno della settimana e a prescindere da età, sesso e luogo di residenza. Il che non vuol dire che bisogna dare tutto a tutti e subito (magari per evitare un titolo sul
giornale su qualcuno che si sale su un tetto, si incatena o un post su Facebook) ma dare a chi ha bisogno quello di cui ha bisogno in tempi congrui, perché in un sistema a risorse definite, quello che impropriamente dai ad uno lo togli ad un altro cui magari sarebbe più necessario.

Tornando al Pronto Soccorso e all’assistenza ospedaliera, molto è cambiato da quando più di 30 anni fa noi – medici diversamente giovani, che siamo la maggioranza – abbiamo varcato la soglia dell’ospedale, e in meglio. I reparti accolgono pazienti sempre più compromessi ed anche ai grandi anziani si offrono opzioni terapeutiche che sarebbero state impensabili solo poco tempo fa: soprattutto in questi casi, eventuali complicanze devono essere colte precocemente e con occhio esperto, per non compromettere irrimediabilmente l’esito.

Il Pronto Soccorso non è più solo un crocevia di smistamento dei pazienti, ma un luogo di cure delicate e complesse, con rilevanti responsabilità medico legali ed i colleghi che vi operano rivendicano giustamente la propria specifica professionalità: non a caso è stata istituita – finalmente e dopo molte pressioni della società scientifica che li rappresenta – una specializzazione ad hoc. Oltre che allo stress, al burn out ed alle aggressioni, la crisi di
vocazioni nel campo specifico è dovuta al anche al disastro dell’imbuto formativo (insufficienti posti in specializzazione rispetto ai laureati in medicina) da noi vanamente denunciato ormai da un decennio. Non si può prescindere quindi dal chiamare in causa anche l’università, che ha la colpa gravissima di aver sempre operato (e continua a farlo purtroppo, continuando a godere di immeritate ed ingiustificate protezioni) come un corpo
estraneo al sistema, pur rivendicando continuamente il proprio diritto a farne parte.

In sede di osservatorio regionale sulla formazione specialistica , abbiamo formulato proposte e portato esempi concreti di soluzioni adottate in altre regioni, per regolare l’attività degli specializzandi degli ultimi anni assunti negli ospedali: tutte regolarmente e puntualmente ignorate e che si sono infrante sul muro di gomma eretto dagli universitari.

Il risultato è che ad oggi i nostri colleghi più giovani vengono – di fatto ma non di diritto – impiegati in compiti da dirigenti, con la tacita e complice acquiescenza delle aziende, che voltano la testa altrove per poi abbandonare a loro stessi (o addirittura dar loro addosso) in caso di contenzioso legale. L’università ha poi l’ulteriore responsabilità di mortificare le legittime aspirazioni della nostra meglio gioventù (soprattutto in campo chirurgico)
relegandola troppo spesso al ruolo di amanuense, col risultato che molte volte i colleghi per imparare il mestiere sono costretti ad emigrare, ad abbandonare la specializzazione o acquisiscono il titolo di chirurgo – stavolta di diritto ma non di fatto – con la conseguenza che – immessi nel sistema – devono essere ulteriormente formati e non possono essere immediatamente operativi come i loro colleghi nel resto d’Europa.

Per quanto riguarda l’aspetto del contenzioso legale, non possiamo non chiamare in causa il governo regionale degli ultimi 10 anni: se alla Toscana va ascritto il merito di aver predisposto ormai già più di 20 anni fa un sistema di accreditamento e qualità delle prestazioni sanitarie tra i più avanzati in Italia e di aver fatto scuola in tema di gestione del rischio clinico (anche con l’istituzione dell’omonima struttura a livello regionale) va del pari imputata la responsabilità di aver poi abbandonato e non più gestito questi fondamentali percorsi e di aver di fatto svuotato di personale, competenze e legittimità tutte le strutture a questo deputate (si pensi non solo al Centro di Gestione del Rischio Clinico Regionale, ma anche all’Agenzia Regionale di Sanità) unendo a ciò un sempre più forte impulso accentratore il cui emblema è l’ESTAR: un combinato disposto che ci ha portato ad essere -in base all’elaborazione di Demoskopica su dati della Ragioneria Generale dello Stato – la prima regione in Italia per spese legate a contenziosi in campo sanitario: 28 milioni di euro per liti, spese legali e soccombenze con fornitori e pazienti nel 2020. Con una media di oltre 4 milioni di euro per azienda sanitaria, ognuna di esse spende la stessa cifra di tutta l’Emilia Romagna, e condividiamo il poco invidiabile primato di regione “pasticciona” con
Sicilia e Calabria: ogni singolo cittadino toscano solo per questo nel 2020 ha pagato 7,57 euro.

In ultimo, ma non di minore importanza, va citata la sanità territoriale: la recente pandemia ci ha fatto toccare con mano al di là di ogni ragionevole dubbio la sua importanza, e l’importanza di una parola che da troppo tempo è sparita dai radar della politica sanitaria: “prevenzione”. Abbiamo vissuto l’esperienza fallimentare delle Società della salute, poi case della salute, assistendo solo ad un inutile esercizio lessicale, come se cambiando il nome delle cose bastasse a cambiarne la sostanza. Il recentissimo piano di riforma ipotizzato dall’Agenas destina ad essa 2 miliardi di euro: abbiamo il dovere di fronte ai cittadini ed all’Europa di non sprecare in mille rivoli inutili le ingenti risorse che a breve avremo a disposizione e abbiamo bisogno che tutti gli operatori della sanità pubblica – a prescindere dal proprio ruolo, funzione e profilo professionale – concorrano al bene comune, rinunciando alle loro confort zone che si sono create nel tempo ed a privilegi ormai non più giustificabili né sostenibili.
Se la Toscana è ai primi posti nelle classifiche per l’erogazione delle prestazioni sanitarie, lo si deve di certo anche a qualche Direttore intelligente, preparato ed illuminato, ma lo si deve soprattutto agli operatori – tutti – sul campo, che ogni giorno – per usare un termine di questi tempi sin troppo abusato – dimostrano la propria resilienza, nel portare avanti le cose ed ostinarsi a fare il proprio dovere nonostante tutto e tutti.

Avviandomi a concludere, non posso non rimettere la maglia del sindacalista e ricordare ancora una volta a tutti voi che i dirigenti medici e sanitari della regione – secondo dati incontestabili perché provenienti dalla Ragioneria Generale Dello Stato – sono tra i peggiori (se non i peggiori) pagati d’Italia, e che tra le varie aziende sanitarie regionali continuano ad esistere diversità di trattamento economico e nell’applicazione di leggi e contratti,
diversità che non sono più tollerabili né degne di una regione che giustamente aspira e a cui non manca nulla per essere un esempio virtuoso in campo nazionale.

La grave patologia del sistema sanitario ha sintomi da noi colti da tempo e la diagnosi è per noi ormai chiara: per la terapia abbiamo le proposte e – nel campo specifico – le abbiamo già formulate in via istituzionale e ne formuliamo altre in calce a questo documento, condividendo quelle che altri autorevoli colleghi hanno espresso di recente sui giornali. Per la sua messa in pratica, abbiamo bisogno di una politica forte e di alto profilo, che guardi in alto e in avanti e non a questo o a quell’altro ombelico, una politica che decida e non rimandi, con la quale confrontarci ed anche scontrarci se necessario, nel rispetto reciproco dei ruoli, per lasciare ai nostri figli un sistema sanitario e un paese migliore di quello che abbiamo trovato e perché (molto più egoisticamente) abbiamo in molti raggiunto un’età nella quale è molto più facile passare dalla parte sbagliata del bisturi, o del letto, a seconda dei casi.

Alcune proposte operative sulla questione dell’emergenza e dei Pronti Soccorsi al seguente articolo COMMENTI ANAAO ASSOMED ALLA DELIBERA N° 657 DEL 21.06.21

Grazie per l’attenzione
Gerardo Anastasio
Segretario Amministrativo Regionale ANAAO Assomed – Toscana.
Documenti di riferimento:
– Standard Organizzativi delle strutture di Emergenza- Urgenza (Documento congiunto
SIMEU-FIMEUC – Ottobre 2011)
– M. Mohr et. al. “ Boarding of Critically Ill Patients in the Emergency Department” – Critical
Care Medicine, August 2020 , Volume 48, N.8, 1180 – 1187
– Viccellio et. Al. “The Association Between Transfer of Emergency Department Boarders to
Inpatient Hallways and Mortality: A 4-Year Experience” Annals of Emergency Medicine –
Volume 54, N.4: October 2009, 487 – 491

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